E alla fine cade la notte dl cielo come coleottero che buca la precisione di un’infanzia in collina: zinfa e ti sveglia ma scegli l’odore dell’erba umida madida sotto le coperte.
Rimuginare torve impressioni, traballare fino al valico: la lancetta fuel ritorna verso l’alto; uno sparuto segno di ripresa: finally.
I leoni immobili sulla scalinata, la notte di chi mente notti ci circonda compiacente: stira il mento sulle guance, vedere i piedi agitarsi e tendersi, lambire lo scalino. Assapori l’ellisse del suo volto, mischiato ad alone di caffè, all’attenzione di mtv profugees.
Primavera: gambe scoperte su bici rotolanti sulle strade delle città che prima fu sua alcova, ora vedova; complicanze dettate da “target di immediata identificazione” .
Così lontane quelle fattucchiere bituminose notti da adolescenti spazzate da colpi di juke-box: i leoni guardano d tutt’altra parte.
Contatti fino ad ora desueti, pelle come coito di lettere da carte costosa, antilope svezzata a molti screzi da surrogare di parole.
Le chiome dei leoni rifulgono su un palpitare di muscoli bocche spugne lobi orecchi: ripartenza.
Graffia il bordo dello scalino ripido le nocche delle mani, gambe balzotte aggrottano lo spazio: volarci attraverso, richiuderla plastilina, giallimonoso sax che sfama un’orchestra…
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