Justine era bella.Di quella bellezza semplice, pulita, fresca.Come quelle folate di vento improvvise nei caldi pomeriggi di aprile, quando il sole sembre cuocere la pelle.Era questo l'effetto che aveva fatto a Enrico, quella mattina a passeggio per Boulevard S.Michel.Si era fermata a guardare la vetrina di un noto negozio di moda italiano, e lui usciva tenendo in mano una grande busta.La guardò con insistenza, e lei sembrò non darsene peso, anzi, teneva lo sguardo fisso su di lui, quasi una sfida.Lui per tutta risposta fece una gran sorriso, e le disse CIAO, in italiano.Lei rispose "zciaò", ridendo.Lo scambio dei numeri di telefono fu quasi immediato.
Si rividero in una brasserie chiassosa nel cuore di Pigalle, che faceva ad angolo con rue Blanche.Lui abitava poco più giù, verso l'Opera.Presero insieme un caffè,e lui fece delle osservazioni circa la capacità dei francesi di rovinare il gusto di una bevanda sublime come quella.Lei rise tutto il tempo, mostrando una fila di denti bianchissimi, e le pelle del viso le si increspava agli angoli degli occhi, morbida.Passeggiarono a lungo, arrivarono a Boulevard de Capucines.Lì decisero per una cena veloce, visto che si era fatto tardi.Finirono la serata a rotolarsi nel letto di lui, felici.
Justine era bella, e faceva un mestiere strano.Si occupava di smistare gli organi ai centri trapianti di Parigi e ospedali limitrofi.In pratica, lavorava se qualcun'altro moriva.Questo non le aveva procurato mai nessun problema, e ne parlava quasi con allegria, dicendo di sè che lavorando faceva del bene alla gente.Che lavorava nel sociale.
Justine era bella,e lo era anche quella notte di febbraio, quando la polizia arrestò Enrico, che in raptus di follia, l'aveva strangolata."E' il cadavere più bello che abbia mai sezionato" disse con sarcasmo l'anatomopatologo, qualche ora più tardi.
Ma non rise nessuno.
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