sabato 21 gennaio 2006

Corsa a mano armata/1

Questo è un racconto che ho deciso di pubblicare a pezzi.E' in fase di stesura, è quello che tecnicamente si chiama "Bozza di romanzo breve".
enjoy.

Corsa a mano armata

Me li ricordavo ancora quei pomeriggi di inizio estate, passati a correre lungo la vecchia statale, con ai piedi delle timide scarpette di tela, che lasciavano certe vesciche dopo giorni tramutatesi in calli, e le magliette bianche di cotone, troppo piccole o troppo largeh per essere indossate a scuola nell'ora di ginnastica.Ricordavo ancora il sapore di quei fiori gialli, che se ne masticavi il gambo sapevano di limone, e di come ci si prendesse in giro sul fatto che lì ci avessero pisciato legioni intere di gatti.Erano bei tempi.
Poi, erano cresciuti i muscoli, e un signore sulla vecchia statale aveva domandato se era tanto che correvi, se correvi sempre così veloce, e se ti sarebbe piaciuto correre per davvero, per una società.Tu ti eri fermato, ansimando.Lo avevi guardato bene, non sembrava un pazzo o un maniaco.Gli avevi detto come ti chiamavi, dove abitavi, e che se era vero quello che diceva ne doveva parlare con i tuoi genitori, chè tu eri ancora ragazzo.
Venne il giorno dopo, con un vestito elegante e una valigetta nera di pelle, consunta, ma che un tempo era stata bellissima.Disse che era un procuratore sportivo, e che poteva farti guadagnare grazie alla tua passione e alle tue capacità.Il papà lo guardava perplesso, sprofondato nella poltrona, senza dire una parola, mentre mamma andava e veniva dalla cucina dove aveva messo su il caffè.
Poi il signore aveva preso un libretto di assegni, e ne aveva messo uno in mano al papà, che aveva strabuzzato gli occhi, e aveva ripetuto tante volte che dovevo però continuare a studiare con profitto.
Da lì in poi mi diedero delle belle scarpe da corsa vere, dei bei completini blu elettrico, e cominciai ad allenarmi in pista.
Mi ci allenai per 2 anni, prima di fare la mia prima gara.Conoscevo il fondo di quella pista come le mie tasche, e qualche volta mi divertivo a ricordarne le crepe e le scrostature mentre a terra stiravo i muscoli delle mie gambe.
Le mie gambe.
Il mio allenatore mi diceva sempre di impegnarmi, perchè con quelle gambe lì ci sarei andato alle Olimpiadi un giorno, e tutti dovevano vederle in forma splendida.
Gare.Ed io che vincevo.
Sempre.
E io per scaramanzia facevo sempre un verso sul traguardo, un "UM!" soffocato, come lo feci alla mia prima gara che vinsi, perchè pensavo mi portasse fortuna.
Tornavo a casa stanco, con le gambe dolenti, e gli amici che passavano a trovarmi per uscire, i miei no-non-esco-non-ce-la-faccio.La mattina presto mi allenavo, poi scuola, poi allenamento, poi studio, poi dormire.
Per anni.L'estate poi, senza scuola, era un correre-saltare-correre continuo.Anni.
Di ragazza poi neanche a parlarne.Mi avrebbe distratto.Anche se in una delle competizioni juniores europee avevo baciato una atleta della squadra spagnola.Poi via,che se ci avessero beccato.
Ricordo ancora i miei 18 anni, con gli amici, pochi, a farmi festa, con i compagni della squadra, l'allenatore.
La consapevolezza di essere fra i grandi, di poter fare le gare "vere" come diceva il procuratore.Con gente che si allena da una vita, che conosce i trucchi.
Vincevo.Anche quelle.
Le mie gambe volavano.Si muovevano da sole, un unico ingranaggio con cuore e polmoni.Io volevo che andassero, loro andavano, sempre più forte, che alcune volte mi sembrava di volare quando ero davanti a tutti, sulla linea del traguardo, immaginavo che un giorno ci avrei spiccato il volo.

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