Arwen sognava. Sognava un sogno muto. Quasi ogni notte. Lo sognava ogni notte da quando era uscita dall’ospedale. Un anno in ospedale : un anno senza skateboards, un anno senza sogni.
Sognava sempre quel sogno muto, il pensiero la accompagna anche ora che gli umani coriandoloidi le appaiono comete ed il Liffey le appare come la nebulosa Patty Smith, da dietro i lucciconi acquosi. Eh si, i suoi occhi la rendono très luminisocchiosa.
Sognava un lungo corteo, il corteo del Carnevale di Amantea. Un lungo corteo in cui ambulanze hanno preso il posto di carri allegorici. Un lungo corteo con ali di folla, gente curiosa che guarda fra le ambulanze : corpi di anziani rinsecchiti che esalano l’ultimo respiro con il braccio proteso alla flebo, giovani seduti sul lettino con il volto fiero tumefatto, partorienti che imprecano la goia nel calabrese delle terre di mezzo, operatori in giacche arancioni fosforescenti, morti lunari, morti pallidi, spettri scesi da umidi rigurgiti del passato che li trascina via il vento e attraversano, non visti, la folla sudata.
Vede anche se stessa, vede il tatuaggio di un delfino su un pezzo di asfalto.
mercoledì 15 novembre 2006
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